Mittwoch, 23. Februar 2011

nacht-noch- ...

nacht-noch-
beschichtet
die augen

heimelt
der morgen
unterm fenster

sie habe das
auto unten
auf dem park-
platz gelassen

window-pain
fensterweh
im ohr

aber doch
schon leer

wieder

der platz
unterm fenster

Sonntag, 20. Februar 2011

asunder ...

asunder
tear tears
what ember embeds
forsaken
my head

& above all
torn clouds
which drop
me a line

the torch
is electric

to see
what I fetch

Samstag, 19. Februar 2011

ob man ...

ob man
übern (?)
übers (?)
(„)king(“) hinaus
käme
oder
über
howth castle
and environs?

a fireplace

is
always
a yes

Sonntag, 6. Februar 2011

Madame

weiß und weich
ihr käsesein

aus den bündner-
fleischlippen
hängt ihr
veruca vesicaria

als schürze
für die sterntaler
die dem himmel
laibhaftig
abgerieben


italian version:

stracca
immagina
un 'lu caro'
(magari
dimentica
della 'a')

dalle labbra
color
bresaola
pende
la lingua
grama
in cerca
di grana


erster schritt zur poetischen annäherung an das pizza-menü der pizzeria 'Porcelli' in Amelia. die in frage stehende pizza hat: stracchino (ein zerfließender weichkäse), rauke (rucola), bresaola (bündnerfleisch) und grana padano. der titel entspricht dem namen der pizza im menü.

Mittwoch, 2. Februar 2011

...

"[google-]Suchanfrage: Helmut Schulze gestorben"

Samstag, 29. Januar 2011

not I (Beckett)

Pink Floyd: Ummagumma

parts one and two



parts three and four

Freitag, 28. Januar 2011

Alban Nikolai Herbst: La quarta elegia di Bamberga

Bamberger-Elegien
Alban Nikolai Herbst
La Bestia perenne
Elegie di Bamberga


Quarta elegia

Trovammo, ma senza tenerla. E fallimmo. Prese, baciandola, con mani la nostra testa. Vi rimase a lungo. Ma sempre svanisce quel ch’è nostro non appena è nostro. Sfugge per poi rimanere davvero: come qualcosa ch’è stato. Altrimenti, piegandosi, si perderebbe nel quotidiano. L’amore, amata mia, è troppo alto per le porte basse e, se spinto, si torce umiliato andando ginocchioni, e soffoca la sua superbia. E non lo sopporta.
Non ci accorgemmo di quel che facevamo? Quante volte, insieme, non ci siamo puliti i denti, le nostre mute cene, le attenzioni afflosciate come l’eco che risuona nella farina, quella nera per il pane che ci nutre, ma smussa: smussato il pane, smussato il cuore. Così mastichiamo. La bolletta della luce, l’affitto, il riguardo quotidiano, la spesa, scansati, come fossero profanazioni, i desideri. Le stanze troppo strette, avvertiamo la perdita, ma tacciamo la sventura. Perché dicendolo, tradimento sarebbe, uno pensa, l’attirerebbe evocandola. Poi, all’improvviso, ci troviamo di fronte estranei, ognuno verso di sé e verso l’altro. Allora te ne andasti.
Perdita, l’inizio del perenne. Ritrovati sesso e cuore quando eri andata via, e per questo tornasti. Addio e lacrime. Soffia e s’avvicina un vento che, uscito dalla Regnitz e estendendosi sopra il verde intenso del prato, sale il muro e, attraversando la ghiaia del terrazzo, arriva alla porta di vetro. Finché non ti respirano le finestre, la stanza, e non più niente che non pianga. Le sedie, la scrivania, gli scaffali. Un’acqua che, all’improvviso, si versa da sé in un pianto, perfino nell’angolo dove uno stava non facendo altro che cucinare. Da sé, e così scorre anche questo. Come se piangesse un altro. Non è possibile fermarlo, il dolore che nessuno, con tanto ritardo, comprende. Non eravamo staccati già da tempo? Lacrime senza singhiozzi che scorrono senza volontà. Come se, dietro le palpebre, qualcosa facesse acqua. Ma siamo n o i a piangere queste lacrime? E già smettiamo accorgendocene. Si screpolano le orme asciugandosi. Così presto ti fermi, tu, umiliata nella superbia che, p e r noi, hai versato lacrime d e n t r o di noi. Ahimè, che lei non afferri la lontananza!
Ascoltare inermi. Stiamo seduti. Ti ascoltiamo, noi smarriti in te, nascosti, nella gola irrigiditi. Vieni! Tu lo vuoi. E tu segui.
Aprendole poi, le palpebre già seccate, e lo sguardo evaporato. Come se si screpolasse la pelle al pari d’un ruscello asciutto. Nessuno più canta. Sulla ghiaia e sulle panche il sole che gioca. Per fare un po’ di fresco, uno scroscio lo abbandonò lì. Come se la Regnitz avesse inverso il suo corso e tu fosti stata gettata sulla riva, contro ogni corso del tempo.

Ci sono altri giorni, amata, che torni in immagini quasi improvvise, sconcertanti che, così impreparati come lo siamo anche noi, non si prestano a soddisfazioni. Così scuri i capelli, e come cascavano. Prendemmo per moglie la madre di cui, nell’infanzia, siamo stati privi. L’infanzia, sempre, vi si sovrappone. Andato! Le manca l’ascella, manca il tuo collo, il tuo orecchio e quella scia odor camelia, i profumi d’Arabia, i profumi di boschi tramontati. La berremmo se ci mangiassimo: entusiasti, dimentichi di ogni distanza. Ora soffia su dalla Regnitz, con insistenza contemplativa. Di nuovo inversa la corrente, uscita dalla diga, dallo sgorgare, dalla nebbia degli spruzzi d’acqua che, dispersa, libera il ricordo più doloroso: che la voce, la tua non taccia dolente come la passione adempiutasi. Non mi rassegno alla perdita. Use it or lose it. Il tuo corpo appesantito dal sonno, ancora sdraiato e in attesa. L’ha offeso il raffreddamento quando l’animale perenne, senza badarvi, lo scavalcò cercandosi la sua preda altrove, trovandola – perché il tuo odore era troppo familiare e un troppo essere a casa dove uno ama sì dormire, ma senza cacciare. Testosterone vagabondo! Che non ci l a s c i a né il nido, né l’ascella, né la casa nella quale, arrotolati, dormiamo.

La sedia viene spinta all’indietro. Abbiamo bisogno di riprenderci e ci alziamo, siamo nervosi. Nella porta schiocca il fiammifero. Così stiamo lì, fumando, la sciarpa tirata attorno al collo. La luce del sole ha finito di giocare. Una nuvolaglia a metà grigia si stende sopra il fiume, pende dai tetti come sacchi di iuta. Sotto, la frettolosa corrente, gli sporchi mulinelli nei quali, spinte verso l’autunno, ruotano le foglie. Due gradini, piccola rampa di legno resa viscida dalla pioggia. Ci mettiamo piede, raggiungiamo la ghiaia che cede scricchiolando. Non si sentono voci, non bambini, turisti neanche, appena qualche volta una macchina. In attesa perfino gli uccelli.

Cosa vuoi? Una pace protetta, buona per bambini perché sociale e perché si invecchia più facilmente? Protegge solo dalla paura della bestia perenne che vi irrompe che, inquieta, vaga a tradirci. Come stavi sdraiata sola! Ti venne il tuo dolore femminile sul labbro che, senza macula, era te e, sdoppiato, anche l’utero! Ma la bestia continuava ad aver fame. Ora sente la sindrome degli arti fantasma.

Ital. von Helmut Schulze

Das Buch erscheint im Elfenbein Verlag

Mittwoch, 26. Januar 2011

ins fühlen ...

ins fühlen
ranken
schattenstriche

die gräfin
heißt dolores

so arm in arm im
ascht zurecht sich
was da glüht

(und so träge
heut’
die flamm’)

Frank Zappa: Why does it hurt when I pee 1978

Dienstag, 25. Januar 2011

Peter Paul Zahl: ratschlag während des sturzes

den fallschirm raus/Ikarus
nicht die sonne wars
nicht die sonne/die dir die flügel stutzte

den kragen herunter/Ikarus
nicht die sonne ists
nicht die sonne/die dich frösteln macht

den sturzhelm auf/Ikarus
nicht die sonne wars
nicht die sonne/die dich vom moped warf

die zähne zusammen/Ikarus
nicht die sonne ists
nicht die sonne/die dir aufs maul schlägt

die fäuste entspannt/Ikarus
nicht die sonne ists
nicht die sonne/die deine deckung durchbrach

laß das fliegen/Ikarus
überlaß es Dädalus/dem alten
lern laufen/Ikarus/lauf

lern laufen/Ikarus/lauf
unter der sonne/Ikarus/lauf



Peter Paul Zahl starb gestern auf Jamaika im alter von 66 jahren.

Sonntag, 23. Januar 2011

Marcello Sambati: unter der haut ...

unter der haut
die blutige stickerei
unseres seins


erleuchte mich nicht
licht läßt mich zittern.
einer, der dem widerschein folgte
die tage zählend, die nächte
die jahreszeiten, all das summierend
jahrelang wachend um nichts.

jahrelang wacht’ ich um nichts,
die schönheit des blutes beugt mich.
was soll ich sagen
spuck mir in den mund
füll du mein stummsein.
tod ist allenthalben unsere statt
nichts ist als dasein - alleine.


Il sangue ricama sottopelle
la condizione umana


Non m’illuminare
di luce non so che tremare.
Ha inseguito riflessi un uomo
contando i giorni, numerando le notti
sommando le stagioni
vegliando tant’anni per un niente.

Ho vegliato tant’anni per un niente,
la bellezza del sangue mi declina.
Non so che dire
sputami in bocca
riempi il mio mutismo.
La morte ovunque è dimora
non c’è altro che l’esserci, da soli.

Marcello Sambati: Tenebre. Roma 2010

Donnerstag, 20. Januar 2011

...

hal in uns, auf dessen dave zu warten wir uns von monitor zu monitor begeben, ob denn nun gemeint seien hal, dave oder die taube in der dachrinne, die uns hellhörig stumm bis ins bett verfolgt und mit federn unsere haut beschreibt, die auf sie nicht paßt, weshalb geier immer mal wieder herhalten müssen für ein sonst.

one dimensional man - oh! oh!

Freitag, 14. Januar 2011

mit dem ...

mit dem
bleistift
auf fotopapier
kann man
nicht schreiben
man braucht
einen
kugelschreiber
der immer
nur schreibt
was tinte
der tinte
nachdem sie
versucht
aus dem

mit

einen wind
zu zaubern
aus den
ihm sich
hinaus-
wehenden
e’s

als wär’s
aus einer
mitteilsamen
mitte
heraus

Mittwoch, 12. Januar 2011

mittags ...

mittags
da er
laubt er
ein stück
holz den
weg zu
gehen
nach ihm

sich

wo tauben
jagen
weiß nicht

was

zu holen

Dienstag, 28. Dezember 2010

Werner Herzog - La grande estasi dell'intagliatore Steiner (1974) [Sub Ita] 1/3

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